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Termodinamica, fixe e decrescita economica
Tra le molte ramificazioni dell'avventura di riscoperta della
velocipede a rapporto fisso, Chaingang
Rotafixa S.p.A. si è imbattuta - quasi per caso - nel
suo essere un'efficace applicazione pratica della decrescita
economica. Tale teoria è nata dalle intuizioni geniali
- quanto allora ignorate - dell'economista rumeno Nicholas
Georgescu-Roegen, che nel suo The
Entropy Law and the Economic Process dimostrò l'impossibiltà
di una crescita economica indefinita. Con tale opera divenne
inconsapevolmente il padre della bioeconomia,
allora ignorata e oggi rafforzata dal contributo di pensatori
come Serge
Latouche, Ivan
Illich e Alex
Langer. Applicando le leggi fisiche della termodinamica
ai meccanismi teorici dell'economia, Georgescu-Roegen dimostrò
matematicamente la follia del perseguimento di una crescita
economica basata sull'aumento costante della produzione e del
consumo. Restò inascoltato dal gotha dell'economia, ed
è solo recentemente che le sue teorie hanno incominciato
a destare serio interesse da parte non solo di studiosi ma anche
della società civile.
Un primo corollario della teoria di Georgescu-Roegen prevede
che non basta il rallentamento della crescita economica o addirittura
il raggiungimento della "crescita zero", nè tantomeno
il perseguimento della crescita "sostenibile". Bisogna raggiungere
una crescita negativa, cambiando tutto l'impianto non solo della
struttura economica che l'Occidente ha così ben incarnato
ma l'intero stile di vita di ciascuno e quindi delle popolazioni.
Obiettivo indubbiamente gigantesco, ma, secondo una minoranza
di economisti e sociologi, a lungo termine anche inevitabile.
La chiave di volta per riuscirci è la (ri)scoperta di
un mondo relazionale antico, quello della convivialità
e quindi della semplicità: di scambi, di spostamenti,
concetti, parole, relazioni, azioni. In due parole: vita semplice.
Ma l'applicazione di questa sana e quasi ovvia formula trova
formidabile resistenza nel fatto di essere percepito come un
impoverimento e come una privazione, specialmente in una società
come quella Occidentale dove il benessere e l'agiatezza per
ampi strati sociali sono conquiste storicamente recenti. Fare
il salto da uno stato consolidato di benessere e comodità
verso un nuovo ordine sociale basato sulla decrescita economica
non e' cosa da poco, visto anche i pochi esempi atti a dimostrare
concretamente che il salto non è un'azzardo ma porta
invece a dei benefici riscontabili nella realtà.
E' proprio nel difficile passaggio di rendere tangibile il miglioramento offerto dalla decrescita economica che la bicicletta a ruota fissa può dare un interessante contributo: è infatti un esempio concreto e lampante di come le decrescita economica anziché essere privazione e impoverimento è in realtà l'esatto opposto. Vediamo il perché.
Sotto un profilo puramente ciclistico le biciclette a ruota fissa sono mezzi incredibilmente precisi, scattanti, netti nelle risposte, immediatamente reattivi quando la concentrazione è totale. Mezzi leggeri come piume visto l'incredibile assenza di pezzi (non ci sono i freni, cambi, deragiatori, leve, cavi). Rispetto alle tradizionali bici col cambio sono quindi molto più divertenti ed emozionanti, e permettono al ciclista di concentrarsi sul puro piacere del pedalare. Il fisso inoltre affonda le sue radici nella cultura e nella tradizione della pista, una dimensione del ciclismo che trascende il gesto atletico per diventare arte pura: la conquista della pedalata sul fisso è anche la conquista della profonda gioia di imparare a danzare sul velocipede, la conquista dell'arte di andare in bicicletta.
La (ri)scopeta del fisso è anche un riprendere contatto con quel mondo della pista da molto tempo caduto nel dimenticatoio. E' una riscoperta delle nostre tradizioni e della nostra storia, basi sulle quali costruire un presente e futuro più solidi di quelli attualmente possibili. E' la riscoperta di grandi campioni e artigiani del passato la cui integrità e genuina semplicità sono valori attualissimi da riscoprire e fare di nuovo nostri, per favorire un profondo rinovamento del tessuto umano della società.
Vi e' poi un circolo viruoso economico, personale e sociale messo in moto dalla bicicletta a rapporto fisso. Essendo un mezzo intrinsecamente leggero si possono utilizzare per la sua costruzione materiali come l'acciaio e componentistica lavorata in modo semplice: il risultato sono costi nettamente ridotti, minor spreco di risorse durante l'intero ciclo di produzione e maggiori affidabilità e longevità del mezzo. La sua semplicità e affidabilità diminuiscono drasticamente il dispendio di risorse necessarie per la manutenzione, migliorando molto la fruibilità del mezzo e la sua apetibilità per chi vuole un mezzo "no problem" per gli spostamenti personali. L'estrema leggerezza e semplicità rendono il mezzo a rapporto fisso facile e pratico da trasportare, aprendo così le porte ad un modo di viaggiare con la bicicletta quesi sempre al seguito con i notevoli vantaggi che ne conseguono. I "fissati" sono poi una vera e propria tribù il cui collante va ben oltre la semplice passione per la bicicletta, e questa permette anche una riscoperta di quella ricca convivialità sociale possibile solo con gruppi di persone eterogenee unite però da forti valori condivisi.
Agli effetti finora esposti ne va aggiunto anche uno forse più personale, ma facilmente riproducibile e gustoso: la possibilità di assemblare da sè il mezzo che poi ci trasporterà. Ancora oggi la bicicletta è il veicolo più semplice da riparare e costruire, e la bici "decostruita" a maggior ragione, considerando la sua quasi incredibile mancanza di pezzi. Si potrà quindi imparare, o reimparare (chi non ha pasticciato sulla sua bici da bambino?) gesti finalizzati e meccanicamente utili, quindi la riscoperta della propria manualità, capacità che abbiamo in comune tutti noi umani; ragionare con calma sui problemi meccanici che di volta in volta si presentano; assemblare la ruota a raggi, strumento quasi miracoloso per il suo essere incredibilmente robusto e graziosamente esile allo stesso tempo; trovare il miglior allineamento per la catena, il miglior scorrimento per il movimento centrale o la serie sterzo; e così via. Riconnettendosi ancora una volta con il gusto del "fare", tanto sbandierato dagli imprenditori ma in realtà comune a tutti tanto quanto le mani e il pollice opponibile. Se a questo si aggiunge la gioia di condividere le proprie soluzioni tecniche con altri, riscoprendo quindi la collaboratività disinteressata, otterremo un altro tassello verso la "convivialità felice" individuata come l'architrave del nuovo pensiero economico.