E’ impossibile tracciare una rotta verso una destinazione senza sapere da dove parti – Suze Orman

Capire il contesto della trasformazione in atto è il primo passo per creare una mappa con la quale orientarsi e tracciare una rotta consapevole verso il futuro.  Di seguito, una breve rassegna dello stato attuale dei principali sistemi che definiscono il mondo in cui viviamo.

Biosfera

E’ oramai evidente oltre ogni ragionevole dubbio che il pianeta si trova in una fase di importante cambiamento climatico. E’ ancora tutt’altro che chiaro quale sia l’effettivo peso delle attività del uomo e della sua civiltà industriale in questo processo di cambiamento, ma non c’è dubbio che il cambiamento stesso costituisce una reale minaccia esistenziale. Sta causando estinzioni di massa di specie animali e vegetali (dal 1970 ad oggi la popolazione animale del pianeta si è ridotta di oltre il 50%), crescenti livelli di malattia (causato da catene alimentari compromesse, inquinamento atmosferico, aumento di quantità e tipi di materiali tossici usati nel quotidiano), desertificazioni, aumento di conflitti armati e migrazioni di massa. Se si analizza con attenzione i molti conflitti in Africa e nel Medio Oriente, quasi sempre i fattori scatenanti delle destabilizzazioni sociali — e i conseguenti conflitti — sono la siccità, alluvioni estremi e la desertificazione dei terreni agricoli causati dal cambiamento climatico.

Una fattore importante nel danneggiamento della biosfera, l’allevamento intensivo di bestiame, coinvolge interessi economici tali da silenziarlo quasi del tutto nel discorso pubblico, ed è di dimensioni tali da essere difficilmente arginabile (paradossalmente, è proprio l’allevamento di bestiame — fatto ovviamente in modo molto diverso dallo schema attuale — una possibile chiave per rendere aree desertificate di nuovo fertili).

Vent’anni di summit internazionali non solo hanno mancato — di molto — l’obbiettivo di ridurre sensibilmente le emissioni di gas serra e consumo di combustibili fossili (che stanno anzi accelerando), ma hanno anche trascurato la ricerca di soluzioni pratiche locali per mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici a favore di faraonici progetti irrealizzabili di trasformazione a livello planetario del sistema ultra-complesso e molto fragile della produzione energetica.
Come illustrato ne “
La tragedia dei beni comuni”, il profitto tratto dal singolo — persona, corporazione o nazione che sia — dallo sfruttamento del bene comune è molto maggiore del costo che ha nell’immediato la degradazione causato al bene stesso. Siamo biologicamente programmati a privilegiare il breve termine, e se mai troveremo incisive soluzioni concordate a livello globale ciò avverà solo quando precipiteremo al punto di rischio esistenziale immediato. A quel punto sarà troppo tardi.

Le varie forzanti — sia naturali che di origine umana — che stanno alterando l’equilibrio della biosfera interagiscono in modo talmente complesso e non-lineare che è molto difficile modellarli in modo efficace. Non c’è affatto consenso sulla precisione dei modelli che stiamo usando per prevedere i cambiamenti climatici, e pur comprendendo bene la fisica di base di questi processi non comprendiamo altrettanto bene il risultante comportamento emergente. Anche nel caso si trovasse un’improbabile accordo planetario, visto che non riusciamo a modellare bene il problema sarebbe impossibile trovare soluzioni efficaci da attuare tutti insieme. Sono fenomeni che a questo punto si possono ragionevolmente considerare imprevedibili, incontrollabili e irreversibili.  

Energia

E’ l’architrave del nostro progetto di civilizzazione. Pochi mettono in discussione che siamo vicini — o abbiamo già superato — i picchi di estrazione dei combustibili fossili che forniscono oltre l’80% del energia consumata nel mondo. Questo significa che la loro estrazione diventerà sempre più costosa, rischiosa e inquinante, spingendo l’EROI sotto la soglia minima necessaria per tenere in vita la nostra civiltà attuale. Inoltre, circa il ⅔ delle riserve residue dovrà rimanere comunque sotto terra per non superare soglie critiche per il riscaldamento globale.

Le rinnovabili attualmente forniscono il 20% dell’energia consumata a livello globale. C’è chi sostiene si possa arrivare al 100% di energia elettrica da rinnovabili entro il 2050, ma le rinnovabili presentano dei problemi importanti e cambiare su scala globale un pardigma energetico è un lavoro di generazioni e non di qualche decennio. Alcune altre considerazioni riguardo alla transizione alle rinnovabili:

  • Quando si passa dai calcoli teorico ai dati reali degli impianti installati, l’EROEI molto scarso del fotovoltaico e il potenziale fortemente sovrastimato degli impianti eolici le rendono inadatte come fonti di energia primaria al posto dei combustibili fossili.
  • Una fetta consistente del consumo globale di energia viene utilizzata in settori come infrastrutture, trasporti, agricoltura, processi industriali e riscaldamento dove è molto più difficile rimpiazzare i combustibili fossili.
  • Le infrastrutture del sistema energetico attuale hanno complessità e costi di manutenzione enormi, e con una struttura rigida che renderebbe proibitivo riadattarle a fonti di energia alternative.
  • Le rinnovabili sono fonti energetiche discontinue e richiedono sistemi di accumulo per immagazzinare l’energia prodotta. Al  momento la tecnologia delle batterie non è sufficientemente evoluta per l’uso sulla scala di automezzi pesanti, figurarsi su quella degli impianti industriali. Inoltre, materie prime come il litio, necessarie per costruire le batterie, non sono disponibili in quantità sufficiente per una diffusione di massa di prodotti come le auto elettriche.

I principali produttori di combustibili fossili  sono paesi instabili, come quelli del medio oriente, oppure grandi utilizzatori di energia, come la Russia. Questo crea un problema di approvvigionamento per gli altri stati e aumenta il rischio di conflitti vista l’importanza della risorsa.

Il nucleare non è una via percorribile a lungo termine. Anche con enormi sovvenzioni statali le centrali nucleari sono anti-economiche (le centrali oltre 1000MW costruite dopo il 1951 hanno perso mediamente 4,8 miliardi di dollari) , non solo per la costruzione degli impianti ma anche per il loro smantellamento, le polizze assicurative e i costi di smaltimento dei rifiuti radioattivi. Sono inoltre una reale minaccia esistenziale. Nel mondo ci sono quasi 500 impianti civili in funzione, e come ha insegnato Fukushima — i cui costi di contenimento ed effetti devastanti sull’ecosistema continuano ad accumularsi a anni di distanza — gli incidenti possono capitare anche i  paesi con tecnologia nucleare avanzata. I reattori possono diventare fonti di estremo pericolo quando i paesi che li ospitano entrano in fase di declino economico e di instabilità politica, e sono facili obbiettivi per attacchi terroristici. Ad esempio, ci sono attualmente 15 reattori attivi in Ucraina, paese alle porte dell’Europa e sull’orlo di un collasso di sistema.

Infine, va sottolineata la fragilità dell’infrastruttura energetica e, più in generale, di tutti quei servizi come ad esempio distribuzione del cibo, mercati finanziari, servizi idrici, telefonia cellulare e trasporti che rendono possibile la vita moderna. Come hanno dimostrato i numerosi attacchi di hacker alla rete elettrica in Ukraina nel 2015, un manipolo di persone possono causare danni enormi e oscurare un intero paese.

Economia e finanza

L’economia moderna assomiglia a un gioco di prestigio. Architrave del sistema è il meccanismo di creazione della moneta a debito tramite le banche centrali e lo strumento della riserva frazionaria. E’ un sistema al limite della follia. Nelle parole di Henry Ford: “E’ una fortuna che il popolo non abbia idea di come funzionano i sistemi bancari e monetari, perché se lo sapessero ci sarebbe una rivoluzione domani mattina”.

Crescita e PIL continuano ad essere gli unici parametri di cui si tiene conto nel indirizzare le politiche economiche dei paesi. Ma è sempre più evidente che non si può crescere in eterno su un pianeta limitato, e calcolare la ricchezza di una nazione conteggiando anche i profitti delle vendita di armi, spese per farmaci e costi delle bonifiche ambientali dice poco su quanto sia davvero prospero un paese.

Non è solo opinione di qualche No Global che gli attuali dogmi economici abbiano macroscopiche falle di sistema. Dopo il dissesto del mondo finanziario del 2008 fu lo stesso Trichet, allora presidente della BCE, a sostenere che “quando la crisi ha colpito sono diventati subito evidenti i seri limiti dei modelli economici e finanziari”. Prodotti finanziari sempre più astratti travasano quantità ingenti di capitale dall’economia reale verso un vortice astratto di zeri e uno che girano continuamente tra un computer bancario e l’altro, asfissiando il mondo produttivo che tiene in vita la maggioranza della popolazione mondiale. Inoltre, Il sistema economico è strutturalmente molto fragile per via della fitta rete di dipendenze tra in principali gruppi mondiali. Un numero ristrettissimo di attori — dell’ordine del 0,6% sul totale delle corporazioni transnazionali — controlla circa l’80% della rete globale di corporazioni (dettagli nello studio “The network of Global Corporate Control”), un fenomeno che propaga turbolenze di sistema molto velocemente e in modo difficilmente arginabile.

Questo sistema economico spinge verso un crescente livello di ingiustizia sociale concentrando la ricchezza nelle mani di pochi e scaricando sulla collettività i suoi costi. Siamo in un periodo storico dove il potere politico è quasi completamente subordinato al potere economico, quindi il funzionamento dell’economia non può essere migliorato per via istituzionale. Inoltre, senza un cambiamento di paradigma monetario — esistono numerosi sistemi alternativi di valuta, oltre alle più recenti criptovalute — l’economia avrà al suo cuore una falla fatale che impedisce a sistemi migliori di emergere.

Sistemi politici

Il sistema politico prevalente in occidente di destra-sinistra contrapposte non ha la progettualità e capacità adattiva per governare sistemi complessi. Questa polarizzazione crea due irriducibili tifoserie contrapposte che rende ’impossibile mediare e trovare soluzioni di compromesso indispensabili per governare un paese. Pacchetti di ricette preconfezionate — dall’economia alle unioni civili — vanno prese in blocco e sono sostanzialmente le stesse da decenni. Non importa più chi ci sia al governo perché le politiche portate avanti sono uguali tranne piccoli dettagli. Il potere decisionale nelle democrazie moderne viene spostato sempre più dai cittadini verso strutture sovranazionali o gruppi di potere economico che possono comprarsi la classe politica.

L’appiattimento della politica sul mondo economico mina alla base il sistema democratico. Le elezioni non permettono più un reale cambiamento di governo e di relative strategie governative.  La società civile, sentendosi negata la possibilità di effettuare cambiamenti tramite il voto, si ritira dalla partecipazione alla vita politica e civica. Il crescente distacco dei governanti dalla realtà dei governati genera leggi in maggioranza favorevoli a specifici blocchi di potere, e le risposte date alle istanze della cittadinanza sono sempre più tardive, inefficaci e scollegate da quello che la società richiede. Lo strapotere dell’economia  spinge anche nella direzione di creare organismi di governo transnazionali dove il potere viene esercitato senza possibilità di controllo da parte dei cittadini.

Il padre dei banchieri Amschel Rothschild ha chiosato: “lasciatemi controllare la moneta di una nazione e importa poco chi ne fa le leggi”. Togliere la sovranità monetaria alle nazioni, come è stato fatto per costruire la Comunità Europea, è il modo più veloce per distruggerle. Basta questa fatale falla di sistema per rendere il progetto della UE insostenibile sul lungo termine. In Europa gli unici problemi che vengono risolti subito sono quelli di banche e dei grandi interessi economici, tutto l resto — integrazione culturale, giustizia sociale, difesa, leggi comuni, sanità — si muove con lentezza tale da essere incompatibile con un reale progetto di integrazione europea. Come la storia insegna, il modello di Stato piccolo e’ quello che funziona meglio.

La crisi della politica sta anche portando a un’aumento delle guerre, a instabilità in molte parti del mondo — con relative crisi di rifugiati e migranti — e ad attriti tra superpotenze che non si vedevano da tempo. Le spese militari globali nel 2015 sono state dell’ordine di 1,5 trilioni di dollari, circa il 2% del PIL globale. Per dare un’idea dell’ordine di grandezza della spesa, si spende globalmente il 4,5% del PIL globale in istruzione e 10% per assistenza sanitaria Le proiezioni per il 2045 per le spese militari globali sono di un raddoppio a 3 trilioni circa.  

Tecnologia e innovazione

Il progresso tecnologico è, insieme all’energia, il motore del nostro progetto di civilizzazione. Nella società di oggi è dato per scontato che il progresso tecnologico continuerà allo stesso ritmo del secolo scorso, se non addirittura più veloce, ma questo non è affatto scontato e ci sono buoni motivi per pensare che rallenterà.

I problemi che la tecnologia deve affrontare sono sempre più complessi e richiedono risorse crescenti per essere risolti. Il progresso tecnologico è inoltre condizionato da economia (che indirizza fondi e indica le aree di ricerca), disponibilità di energia (la ricerca poggia su infrastrutture tecnologiche molto complesse ed energivore) e da vincoli culturali e politici. Questi condizionamenti rendono poco chiara la possibile traiettoria futura dello sviluppo tecnologico. A peggiorare le cose, l’inquinamento economico sta alimentando una crisi di credibilità del mondo scientifico stesso. La necessità di pubblicare a tutti i costi per avanzare carriere, il finanziamento di ricerche scientifiche in palese conflitto di interessi e la ricerca del sensazionalismo minano alla base il processo scientifico e la validità dei risultati ottenuti.

C’è anche il problema del legame tra tecnologia e materie prime. Nei prossimi decenni incomincieranno a scarseggiare le materie prime senza le quali è impossibile costruire prodotti hi-tech e alimentare tutta l’infrastruttura necessaria al processo di sviluppo tecnologico.

Lavoro e istruzione

Automazione e intelligenza artificiale stanno trasformando la società e il mondo del lavoro con una velocità crescente. Siamo ancora lontani dall’aver creato un’intelligenza artificiale generale, e tra gli studiosi del settore c’è chi sostiene che non sono stati fatti progressi significativi negli oltre 60 anni dalla nascita di questo campo di ricerca. Si sono invece fatti passi da gigante nei campi dell’automazione e dei sistemi esperti capaci di un rudimentale apprendimento, e insieme sono in grado di fare l’80% dei lavori attualmente portati avanti da esseri umani. Inoltre, i fenomeni esponenziali all’opera nel campo informatico — aumento di prestazioni hardware, di computer connessi tra di loro, di investimenti che attira il settore per dirne solo alcune — rendono sempre più probabile che vengano fatte quelle scoperte fondamentali che spianerebbero la strada a una reale intelligenza artificiale generale e a una conseguente esplosione dell’intelligenza delle macchine.

Sono mature molte tecnologie che renderebbero obsolete dall’oggi al domani milioni di posti di lavoro (per inquadrare bene l’impatto che automazione e intelligenza artificiale stanno avendo su società e mondo del lavoro consigliato il libro — che si può leggere online — “I robot ti ruberanno il lavoro, ma va bene così”). L’unico freno alla loro implementazione su grande scala e in tempi brevi è il reale pericolo di destabilizzazione sociale che questo comporterebbe. La strada è però molto chiara. L’avanzare della tecnologia ha sempre comportato rivoluzioni nel mondo del lavoro, con relative destabilizzazioni della società mentre si raggiungevano nuovi equilibri. La fase iniziale di una nuova ondata di riassetto del mondo del lavoro e già in atto.

La scuola pubblica gratuita e un istruzione univeritaria accessibile a chiunque sono grandi conquiste introdotte con l’avvento dell’era industriale. Il problema è che il sistema educativo è modellato sulle esigenze di quell’era e ha come obbiettivo la formazione di figure professionali necessarie a far funzionare la società industriale del consumo e cittadini docili che possano essere agevolmente controllati dallo stato-nazione. Le profonde trasformazioni in atto richiedono però un’istruzione radicalmente diversa incentrata su creatività, agilità mentale, capacità di pensiero critico, capacità di indirizzare autonomamente l’apprendimento e progettualità. La società richiede cittadini veri, critici verso il potere e capaci di misurarsi con le sfida di costruire società nuove e più adatte agli inediti scenari che ci troviamo di fronte. Mentre ci sono sistemi scolastici — come quelle di Korea del Sud, Giappone Singapore e Finlandia — che si dimostrano capaci di muoversi nella direzione di queste nuove esigenze, nel resto del mondo c’è un disaccoppiamento sempre più evidente tra gli strumenti cognitivi forniti dal sistema educativo e quelli necessari per essere efficaci nel mondo di oggi.

Un altro problema dell’attuale modello educativo in molti paesi occidentali è quello di spingere verso un’istruzione a due velocità. Una scuola pubblica di serie B (a cui si sottraggono continuamente risorse e che si impoverisce continuamente nella qualità della formazione) per la maggioranza con scarsi mezzi economici, una elitaria di serie A per i pochi che se la possono permettere. Da queste ultime si selezionano poi le classi dirigenti che sono di conseguenza  poco rappresentative della società nel suo insieme. Molte università inoltre hanno rette molto elevate, e una volta laureati gli studenti si ritrovano sulle spalle dei debiti molto consistenti da dover ripagare limitando fortemente le loro scelte lavorative e di vita.

Estate 2016. Noi siamo qui.